Gli stereotipi costruiti attorno alla vita da programmatore sono tanti: dal geek che vive davanti al computer al super hacker capace di rubare segreti di stato. Forse anche per questo il mercato del lavoro delle professioni del settore ICT è in controtendenza rispetto alle criticità riscontrate da molti settori economici. La domanda di lavoro delle imprese supera infatti l’offerta che il sistema formativo, in particolare universitario, riesce a produrre. Tra il 2019 e il 2021 si riscontra una differenza negativa tra domanda e offerta di laureati ICT di circa 28,5 mila unità secondo le stime dell’Osservatorio delle competenze digitali di AICA, Aintec-Assinform, Assintel ed Assinter. E uno dei professionisti più ricercati dalle aziende è certamente il developer, il programmatore informatico. Per questo le opportunità di lavorare come programmatore in consulenza sono pressoché infinite.
Nonostante ciò le risorse scarseggiano e pochi giovani aspirano a questo tipo di carriera. La maggior parte di loro, infatti, sono convinti che lavorare nella consulenza informatica equivalga a occuparsi esclusivamente di lavoro e a dimenticare la propria vita privata. La vita di un programmatore non è così.
Una ricerca su 2mila giovani tra i 20 e i 34 anni svolta d realizzata dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, evidenzia l’oggettiva tendenza degli under 35 a evitare studi in ambito informatico, e mette in luce alcune delle ragioni fondamentali che spingono gli studenti ad indirizzarsi verso altri studi.
Ecco le convinzioni da sfatare sulla vita da programmatore:
1. E’ un lavoro per maschi
Il 34% degli intervistati ritiene che i maschi siano generalmente più bravi nelle materie informatiche. Il 53,3% delle ragazze ritiene l’informatica un settore di studi accessibile tanto al genere femminile quanto al maschile. A pensarla nello stesso modo tra i maschi, invece, solo il 37,1%. Ma c’è anche chi ritiene che le donne non siano proprio adatte al mestiere dell’informatico. Una intervistata su tre si dice scoraggiata da chi dice che non è un mestiere per ragazze. Oltre il 40% dei maschi intervistati, invece, sostiene che tra gli ostacoli incontrati dalle donne nell’intraprendere una carriera nelle materie informatiche sia la stessa scarsa presenza femminile nel settore. Sempre per quattro uomini su dieci un forte freno verrebbe anche dalle famiglie.
2. I programmatori devono studiare a memoria migliaia di righe di codice ed essere bravi in matematica
No, non lo devono fare. E la maggior parte dei programmi moderni non ha nulla a che vedere con la matematica. La programmazione al giorno d’oggi riguarda soprattutto la capacità di automatizzare alcuni flussi aziendali utilizzando framework esistenti.
3. La programmazione, per di più da consulente, è una professione sterile e priva di creatività
Niente di più falso. Ricordiamoci che programmare è plasmare, creare, e che la programmazione informatica è un linguaggio. Ancora di più in consulenza che all’interno di un’azienda il programmatore è l’esperto del settore che può quindi suggerire al cliente idee e soluzioni derivanti la sua creatività personale.
4. Il consulente non ha mai accesso alla formazione
Falso! Le società di consulenza più attente contribuiscono alla formazione con corsi e lezioni all’ingresso e continuano a offrire percorsi formativi ai dipendenti che toccano tutti gli ambiti della loro crescita professionale: dalle competenze tecniche alle soft skill. Un programma di formazione volto allo sviluppo della carriera che, insomma, va a formare il consulente a tutto tondo, sia per tenerlo costantemente aggiornato a livello tecnico, che per farlo crescere a livello professionale e relazionale.
5. La consulenza ruba la vita privata
La consulenza, è vero, alterna periodi di grande impegno a momenti più “scarichi”; ma ha anche il pregio di lasciare al professionista informatico un’ampia capacità di organizzarsi i tempi lavorativi. La prospettiva di lavorare da remoto, inoltre, offre sicuramente una grande quantità di vantaggi, e risulta molto attrattiva.