Dal millennium bug all’Industria 4.0: come cambia il mondo IT

Chi cita la teoria del caos parte sempre dal battito d’ali di una farfalla in Giappone che provoca un terremoto dall’altra parte del mondo. Estendendo l’esempio al mondo IT, la metafora non cambia: è sempre un insetto – o meglio, un bug – a fare paura. Sono passati vent’anni dal cosiddetto The Year 2000 problem, reso acronimo con Y2K, ma conosciuto in tutto il mondo con l’espressione Millennium Bug. Mancavano poche ore allo scoccare dell’anno 2000 e gli Stati erano arrivati a quell’appuntamento avendo speso circa 300 miliardi di dollari per proteggersi da un evento ritenuto disastroso. I computer dell’epoca, questo il timore, sarebbero andati in tilt perché non avrebbero più distinto le ultime due cifre dell’anno. Quegli “00” avrebbero confuso i sistemi riportando tutto all’anno 1900, con effetti di calcolo devastanti per la finanza e non solo. 

Tutto quel che si era temuto – gli ascensori in picchiata nel buio, miliardi bruciati in Borsa, aerei senza più controllo – ebbene tutto questo, all’alba del primo gennaio 2000, faceva solo parte di un incubo da cui risvegliarsi sollevati. Eppure, quell’evento (mancato) ha segnato una generazione sempre più abituata a lavorare e ad affidarsi alla tecnologia. Il nuovo millennio era iniziato senza inciampi, fino al primo vero crollo: la bolla del Dot-com è scoppiata nel marzo del 2000 dopo anni di investimenti rischiosi nella new economy.  

I primi anni 2000 

Nei giorni della crisi del Dot-com il Nasdaq ha perso quasi il 9% e l’anno successivo la maggior parte delle Dot-com companies erano o fallite oppure assorbite da altre aziende. La bolla di internet è stata una catastrofe aziendale: nel 2004 soltanto la metà delle società quotate da inizio millennio risultavano ancora attive, ma a quotazioni più che ridimensionate. E i sopravvissuti che fine hanno fatto? Vent’anni dopo sono diventate alcune delle multinazionali più floride e ricche al mondo (Amazon e Apple, per citare gli esempi più eloquenti).  

Nel mondo IT proprio Apple ha segnato la storia a partire dal 2007, con il lancio del primo iPhone, lo smartphone che ha cambiato il mercato e la nostra quotidianità. Gli anni Zero del nuovo secolo hanno messo le basi per una rivoluzione digitale ancora in corso, dando sempre più centralità all’Information Technology, alle reti di comunicazioni e alle piattaforme. Una di questa è nata nel 2004 grazie a un gruppo di studenti dell’Università di Harvard. Il re dei social network, Facebook, oggi condivide con altre app miliardi di utenti, informazioni e dati da ogni angolo del globo.  

A dieci anni dal Millenium Bug  

Gli anni Dieci hanno infine segnato l’arrivo dell’Industria 4.0, un termine utilizzato per la prima volta nel 2012 in Germania. Le previsioni dell’istituto McKinsey tratteggiavano un futuro in cui robotica, big data, IoT e machine learning avrebbero scosso il mondo dell’impresa. Anche in Italia il piano voluto dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ha dato un contributo all’evoluzione per smuovere 10 miliardi di investimenti e 11 in ricerca e sviluppo. Molte PMI hanno cavalcato l’onda trasformando la propria catena di produzione e affiancando la tecnologia al lavoro dei dipendenti. Purtroppo l’avanzata dell’industria 4.0 riguarda oggi una fetta ridotta del panorama imprenditoriale italiano. Secondo l’indagine “EY digital Manufacturing Maturity Index 2019” soltanto il 14% delle nostre aziende sta operando in una condizione di Industria 4.0 avanzata.  

Due dei motori dell’Industria 4.0 sono rappresentati dall’Industrial Internet of Things e dal Cloud Manufacturing. Ma la chiave del cambiamento non sta nel ripartire da zero, piuttosto nel creare un ecosistema di nuove competenze e tecnologie, dove i Big Data sono sempre più centrali con tante opportunità e nuovi rischi per la sicurezza dell’impresa. Ecco perché nel mondo dei data analyst si parla di security by design. 

Coronavirus: gli scenari 

Nel pieno della pandemia dovuta al coronavirus, l’Italia è stata costretta a sperimentare nuove forme di lavoro – il cosiddetto smart working – per tenere in piedi e al lavoro più aziende possibili. L’IT in tutto questo gioca e giocherà un ruolo fondamentale: l’infrastruttura di rete resta carente lungo la penisola, dal momento che sono 11 milioni gli italiani (24% della popolazione) senza accesso alla banda larga ultraveloce. Segno che il ritardo nella digitalizzazione ha penalizzato molte imprese. Ma gli investimenti nell’IT restano necessari proprio per mettere al sicuro la produzione sia in situazioni d’emergenza come quella attuale, sia in momenti ordinari, quando le informazioni e i dati raccolti vanno protetti da qualsiasi rischio.  

La recessione provocata dal Covid 19 non è più un’ipotesi, ma uno scenario atteso da governi e istituzioni internazionali. L’esperienza di queste settimane segnerà un’evoluzione all’interno delle aziende, dove gli investimenti in IT non saranno più visti come secondari, ma strutturali per avere sempre un piano B e fronteggiare ogni emergenza. Ma la digitalizzazione, per chi la intraprenderà, segnerà soprattutto una maturazione e un passo in avanti, i cui risultati saranno sempre più concreti una volta rientrata l’emergenza pandemia. 

L’evoluzione a modelli di business data-driven diventerà essenziale, solo chi riesce ad elaborare le informazioni e fare previsioni in tempo reale riuscirà a superare agevolmente situazioni di crisi come quella che si è presentata. In questo contesto Big Data ed Analytics con le componenti di Machine Learning dovranno diventare elementi guida per ogni azienda che vuole mantenere il successo nel futuro. 

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